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Maverick's Blog

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Api&Dintorni - Alla scoperta del mondo delle api

Maverick

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Dall'omonimo topic sul forum, ecco il blog di Api&Dintorni.

Sul forum saranno pubblicate notizie di carattere generale, mentre sul blog sarà pubblicata anche una piccola guida tecnico-pratica con le principali operazioni da svolgere mese per mese.

Si comincia:

 

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Come promesso, apro il thread di discussione sull'Apicoltura.

Mensilmente pubblicherò curiosità e una brevissima guida all'allevamento con le principali operazioni da svolgere nel periodo...

Tra poco: "Un breve viaggio nella storia dell'Apicoltura"...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3/01/2012

ORSI, FARAONI E MODERNI APICOLTORI

Un breve viaggio nella storia dell’apicoltura

 

L’apicoltura moderna non è poi così distante da quella praticata al tempo dei faraoni e dei grandi re della Grecia quasi 2000 anni fa.

Tante sono le analogie della tecnica apistica di allora con quella attuale: dall’uso dell’affumicatore, alla pratica del nomadismo; dall’estrazione dei favi per la raccolta del miele (evitando l’apicidio) alla realizzazione di un’opportuna legislazione per regolamentare la creazione di apiari e la loro disposizione.

Prima dell’uomo

Come documentano reperti fossili (pezzi d’ambra contenenti api da miele) presenti a Bolca (VR), le api apparvero molto prima dell’uomo: circa 50 milioni di anni fa, questi piccoli insetti laboriosi erano già presenti sul nostro pianeta e si ritiene che le loro colonie furono le prime, tra gli insetti sociali (api, formiche…), ad evolversi in società dalla complessa organizzazione.

I rifugi utilizzati furono, da sempre, luoghi naturali: buchi nel terreno, fratture nelle rocce, incavi negli alberi.

Ecco subito una prima analogia del passato con il moderno: anche oggi, le api mellifere, nel corso della sciamatura, ma la stessa cosa potrebbe esser detta per colonie di api selvatiche, utilizzano i rifugi suddetti per ripararsi e per svolgere le loro complesse attività. A tali luoghi possiamo aggiungere artefatti moderni: scuri, grondaie, sottotetti, balconi… .

Il miele allora prodotto era difficilmente distinguibile da quello attuale e, comunque, l’ape preistorica non era meno domestica di quanto sia l’attuale. Quando si scoprì che l’alveare era una fonte ricca di un prezioso alimento, molti mammiferi, insetti ed uccelli, ben prima dell’uomo, ne divennero abili predatori.

Come noto a molti e perfettamente rappresentato dalla Disney con Winnie the Pooh, l’orso è un vero demolitore di alveari. Anche le scimmie predano miele infilando nel centro dell’alveare (selvatico) un bastone che ritraggono imbrattato di miele.

L’uomo, saccheggiando gli alveari (spesso ricorrendo però alla pratica dell’apicidio), non fece altro che imitare gli animali, semplicemente perfezionando le loro tecniche.

Cacciatori di miele

In base a recenti studi sembra che la raccolta del miele effettuata dai popoli cacciatori-raccoglitori fosse una delle principali attività umane fin dal termine delle ultime glaciazioni, nel corso delle quali pare che le colonie di api si fossero “rifugiate” nella penisola iberica, una delle poche zone risparmiate dalla tremenda epoca dei ghiacci. Non a caso la maggior parte delle incisioni con raffigurazioni di api e di raccoglitori di miele è stata rinvenuta in Spagna.

Nel corso del tempo, ai cacciatori improvvisati si sostituirono raccoglitori veri e propri, specializzati in un mestiere tenuto in grande considerazione ed appartenenti ad una casta rispettata.

Ma come avveniva la raccolta del miele?. Una delle possibili tecniche, tratta dal racconto del fotografo francese Eric Valli sulla vita di Mani Lal (un cacciatore del Nepal), è questa: durante la stagione dei raccolti (di nettare, che le api trasformano in miele), un gruppo di 8-10 persone perlustrano il territorio in cerca di grossi alveari (in Africa, invece, si è sviluppata un’associazione tra l’uomo e un uccello ghiotto di miele – chiamato appunto l’uccello indicatore – il quale guida i cacciatori fino al nido di api e al quale, terminata la raccolta, gli uomini lasciano un favo colmo di miele; in altri paesi i cacciatori marcavano di bianco alcune api per poterle riconoscerle e seguirle fino ai loro alveari). Individuato un nido, i tre più audaci del gruppo (tra i quali Mani Lal) salgono in alto e srotolano una lunga corda di liane sulla quale Mani Lal scende fino al nido e, ad un suo cenno silenzioso, i due rimasti in alto calano fasci di foglie che, bruciando, liberano fumo denso (un metodo efficace e da considerarsi precursore dell’affumicatore). Per finire, sempre dall’alto vengono calati rami di bambù con i quali Mani Lal stacca i favi dai quali si ricaverà il prezioso miele e li depone in cesti.

Faraoni e Re della Grecia

L’apicoltura vera e propria, in un percorso di repentino avvicinamento a quella moderna, inizia nel momento in cui l’uomo decise di salvaguardare il futuro delle famiglie di api e, al posto degli alveari naturali accennati in precedenza, sostituì singole arnie, le cui forme e dimensioni erano condizionate dalle situazioni ambientali e, quindi, dal materiale disponibile.

A questo proposito ci spostiamo in Egitto dove le arnie erano realizzate in terracotta, a forma di cilindro, disposte orizzontalmente ed erano popolate con l’ape egiziana (ancora oggi presente nella vallata del Nilo).

Anche in Grecia il materiale utilizzato per la costruzione delle arnie era la terracotta, ma accanto ad essa veniva utilizzato anche il legno.

In Egitto, così come in Grecia, era praticata l’apicoltura nomade, ovvero quella tecnica che consiste nello spostare gli alveari seguendo le migliori fioriture per ottenere abbondanti raccolti, e gli apicoltori (mellitouros, così come erano chiamati gli schiavi apicoltori greci) utilizzavano appositi indumenti protettivi e l’affumicatore (cioè quello strumento che permette di indirizzare un getto di fumo verso l’alveare, rendendo più mansuete le api). Il tutto in piena analogia con l’apicoltura d’oggi.

L’apicoltura nomade egiziana si svolgeva lungo il corso del Nilo: gli alveari, contraddistinti con appositi segnali, venivano caricati su barche che, trainate da muli, risalivano lentamente il fiume e si fermavano nei luoghi in cui si trovavano fiori da bottinare; dopo 3 mesi di soggiorno sul grande fiume, gli alveari venivano riportati ai luoghi di origine e riconsegnati ai proprietari.

In Grecia, la pratica del nomadismo veniva adottata soprattutto nella penisola Attica e pare che le conoscenze sull’apicoltura avessero ricevuto un forte input dalla tradizione egiziana.

Miele e cera (i principali prodotti dell’alveare), trovavano (come del resto accade anche oggi) molteplici usi, sia a livello di cucina che a livello cosmetico e rituale.

Un documento egiziano, risalente a 2000 anni fa, descrive numerosi preparati curativi a base di miele che guariscono ferite e malattie del tubo digerente, dei reni e degli occhi. La chirurgia dell’epoca utilizzava il miele per le sue proprietà cicatrizzanti e, per le donne, si producevano creme di bellezza, paste dentifrice e saponi.

Nella Grecia classica si beveva il Meliteion, una bevanda fermentata fatta con acqua e miele; miele che veniva pure usato per addolcire il sapore aspro di alcuni vini.

Si narra che il corpo di Alessandro Il Grande fu intriso nel miele e per questo si sarebbe conservato, così come quello di Agesipoli, Re di Sparta, che fu trasportato in patria in una botte di miele e per questo rimase “incorrotto”.

La cera, nella terra dei grandi filosofi Aristotele, Ippocrate, Plinio e Columella, veniva utilizzata come intonaco conservatore: lampade, metalli e simili ricevevano una sottile spalmata di cera per far sì che si preservassero dall’ossidazione.

Nell’Egitto faraonico la cera trovava utilizzo in rituali di stregoneria così come in altre cerimonie sacerdotali.

Allora come oggi, l’attività apistica raggiunse un livello tale da dover essere regolamentata attraverso codici e leggi specifici.

La legislazione greca regolamentava la creazione dell’apiario e la sua disposizione: Dracone (il primo legislatore dell’antica Atene nel VII secolo a.C.) aveva proibito l’installazione di un apiario a meno di circa 92 metri da uno già presente.

Anche la proprietà di sciami selvatici o di quelli che sfuggivano dagli alveari impegnava i legislatori dell’epoca: Platone scriveva che “se, cedendo alla passione di allevare le api, ci si appropria degli sciami altrui e li si attira battendo su vasi di bronzo, si dovrà risarcire il padrone”.

In Egitto, infine, le api e l’alveare erano utilizzati come simboli: infatti, la presenza nella colonia di un “re” a capo di una comunità numerosa, laboriosa e sottomessa, rispecchiava alla perfezione il modello della società egiziana. Il Basso Egitto faraonico, inoltre, utilizzò l’ape come emblema e sul sarcofago di Micerino è possibile ritrovare, tra le varie iscrizioni, pure quello dell’ape.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

04/01/2012

Le api in gennaio e i lavori in apiario.

Gennaio, almeno nel nord Italia, è un mese solitamente freddo e "di riposo" per tutto l'alveare.

Le famiglie di api, riunite in glomere su 3-4 telai (a volte anche 5 se si ha a che fare con alveari molto numerosi) per ridurre la dispersione termica, sono in una fase di "quiescienza".

Ciò nonostante, il riscaldamento di un alveare (così come di una casa del resto...) comporta un dispendio di energia da parte delle api: sono infatti loro stesse a produrre calore contraendo i muscoli del volo (che occupano la stragrande maggioranza del loro corpo).

Come per ogni altro organismo, il dispendio di energia deve essere integrato con nuova energia assunta attraverso l'alimentazione ed è per questo che è importante che l'apicoltore si assicuri della sufficiente presenza di scorte alimentari (miele soprattutto) ed intervenga qualora la situazione muti nel tempo, inserendo telai di miele conservati in magazzino oppure somministrando il famoso "candito", una specie di pasta costituita da una miscela di zuccheri, sciroppi (di glucosio o fruttosio, ecc..) e acqua (assomiglia alla pasta di zucchero utilizzata in cucina).

Nelle giornate soleggiate e non ventose è comunque possibile osservare un po' di "movimento" nei pressi della porticina: le belle giornate (meglio se contornate da T > di 10°C) stimolano le api a muoversi e a effettuare qualche piccolo volo, chiamato di purificazione: con questi voli le api si liberano dei loro escrementi.

È infatti importantissimo ricordare che le api sono insetti estremamente puliti e...non sporcano all'interno dell'alveare.

Una temperatura mite favorisce anche qualche volo di esplorazione per le provviste di acqua che, logicamente, non deve mai mancare.

Verso la fine del mese, le prime fioriture dell'anno (tipica del nord Italia quella del nocciolo), contribuiranno a "risvegliare" per bene le famiglie che inizieranno anche l'importazione di polline.

La raccolta di nuovo polline stimolerà l'ovideposizione della regina che, solitamente, si arresta nel periodo invernale.

Nel corso delle brevi ed occasionali visite in apiario, l'apicoltore dovrà semplicemente "osservare" il comportamento delle famiglie dall'esterno (non occorre aprirle): "bussare" sul fianco dell'alveare è un buon metodo per sincerarsi della sopravvivenza delle api (che risponderanno ai colpetti con un leggero brusio); valutare l'eventuale importazione di polline sarà importante per stabilire la ripresa attività di ovideposizione della regina; sollevare leggermente le cassette può fornire un'approssimativa stima della quantità di scorte ancora presente nell'alveare.

Infine, qualora dovessero rilevarsi episodi nevosi, saà importante assicurarsi che i portichetti siano liberi dalla neve e che le cassette non siano "sommerse dalla stessa" (in tal caso armarsi di badile e spalare...!!).

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14/01/2012

L’incredibile forza del glomere

Durante il “riposo” invernale e per contrastare l’abbassamento termico tipico del periodo, le api tendono a restringere la superficie da loro occupata e a formare una specie di agglomerato di forma grosso modo rotondeggiante: il glomere.

Le straordinarie capacità di adattamento e di sopravvivenza di questi laboriosi insetti sono assolutamente affascinanti e, dopo aver letto un articolo uscito recentemente sulla rivista L’Apis (un piccolo mensile di apicoltura), ho tratto i giusti spunti per parlare dell’incredibile forza del glomere, quanto mai opportuna in questo periodo.

Come detto, il glomere è formato dall’insieme di tutte le api della colonia che, ravvicinate l’una all’altra e disposte su vari “strati”, producono calore, riuscendo così a mantenere una temperatura sufficiente alla loro sopravvivenza, anche in situazioni di estrema rigidità (si parla di 20-30°C al di sotto dello zero, ovviamente per un periodo non troppo prolungato!).

Pensate che la temperatura al torace di un’ape nel cuore del glomere può raggiungere i 43°C!.

Contrariamente a quanto si pensa, la temperatura non è omogenea in tutto il glomere: gli strati più interni saranno quelli più caldi (perché è lì dove viene prodotto il massimo calore), mentre quelli esterni saranno quelli più “freddi”, ma la temperatura non sarà mai inferiore ai 6-7°C. Al di sotto dei 7°C, ogni ape che si stacca dal glomere e cade sul fondo dell’alveare è irrimediabilmente condannata poiché il suo metabolismo rallenta a tal punto da non consentirle i movimenti necessari a ricongiungersi con il “resto del gruppo”.

Recenti studi hanno evidenziato e quantificato le temperature rinvenibili all’interno del glomere: il “cuore” oscilla tra i 15 e i 33°C, mentre lo strato più esterno oscilla tra i 7 e i 13°C circa.

La posizione di un’ape all’interno del glomere è regolata in funzione della temperatura da lei stessa percepita: ognuna di esse, infatti, non riceve nessuna informazione sulla temperatura delle api situate in altre parti. Per questo, ciascuna ape cerca di mantenersi nella posizione a lei più confortevole: se avrà caldo si defilerà dal centro del glomere; se avrà freddo, viceversa, tenderà ad avvicinarsi al centro.

Il trasferimento del calore all’interno del glomere avviene per conduzione (vicinanza/contatto di un’ape all’altra) e per diffusione (stesso principio dei termosifoni!).

La struttura del glomere è in costante evoluzione: si espande (le api si muovono) quando la temperatura sale; si restringe quando la temperatura scende.

Il buon funzionamento di questi meccanismi è però subordinato ad alcune condizioni:

a) la dimensione del glomere (più è grande e quindi più api ci sono, minore sarà il consumo di energia per produrre calore poiché minore risulterà la sua dispersione);

b ) presenza/assenza di vento (correnti d’aria fredda possono demolire rapidamente il sistema di trasferimento di calore all’interno del glomere);

c) sufficiente presenza di ossigeno, necessario alle api per accelerare il loro metabolismo quando necessario per la produzione di calore attraverso la contrazione dei muscoli del volo;

d) stato dei favi: le api non li utilizzano “termicamente” sistematicamente; infatti, non entrano nelle celle vuote fino a un certo livello di fame. Tappando con il corpo il buco delle celle vuote, le api vi imprigionano aria, trasformando il favo in un pannello isolante. È per questo motivo che sono necessarie le celle vuote.

Insomma, in natura ogni meccanismo non è mai casuale ed esistono specie che hanno raggiunto un livello di organizzazione tale da poter compiere imprese estreme, come nel caso delle amate Apis mellifere, simbolo per eccellenza della cooperazione e del motto “l’unione fa la forza”.

 

 

 

Fine gennaio 2012

Api e Neve: quando si diceva di spalare...

Nei "lavori di gennaio" avevo parlato della neve e di cosa fare in caso di abbondanti nevicate...

Ecco che il meteo di questi giorni cade a fagiolo...oggi, visitina veloce in apiario e, armato di badile, ho "pulito" la zona nei pressi delle casette.

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Da queste foto è possibile comprendere l'importanza del "portichetto" presente in tutte le arnie cosiddette "da nomadismo".

Esso consente di avere uno spazio di atterraggio sempre disponibile per le api che, proprio in occasioni di neve e ghiaccio, mostra tutta la sua utilità. Nelle arnie prive di portichetto è molto più facile che il predellino di volo si bagni e ghiacci, causando lo scivolamento degli insetti durante le operazioni di atterraggio...

 

 

 

11/02/2012

UN FENOMENO…NATURALE

Scopriamo cos’è e come avviene la cristallizzazione del miele

 

Molti di noi si saranno chiesti come mai, in commercio, esistono mieli allo stato liquido e altri allo stato più o meno solido (cristallino).

Alcuni consumatori, inconsapevolmente, potrebbero pensare che siano due tipi diversi di prodotto o, addirittura, che al miele cristallizzato sia stato aggiunto zucchero da cucina.

La realtà è che il prodotto è sempre uno solo (il miele), ma, in funzione delle sue originali caratteristiche che vedremo tra poco, subisce un naturale processo di solidificazione (da non confondere con il congelamento) chiamato cristallizzazione.

La cristallizzazione

Quasi tutti i mieli (parlando al plurale perché in commercio esistono diverse varietà di miele – acacia, castagno, tiglio, erba medica, millefiori, arancio, di melata, ecc. -) al momento della raccolta si presentano allo stato liquido.

Il miele è però una soluzione fisicamente instabile in quanto è generalmente sovrassatura di zuccheri: ciò vuol dire che nel miele sono disciolti più zuccheri di quanti possa contenerne una soluzione normale.

L’elevata concentrazione di zuccheri, unitamente ad altri fattori, è alla base della cristallizzazione.

I cristalli che appaiono nella massa liquida di un miele hanno sempre per origine dei nuclei primari, invisibili al momento della raccolta, ma che, più o meno rapidamente, si moltiplicano e formano degli aggregati; il miele diventa allora torbido e lentamente si indurisce dando luogo al fenomeno della cristallizzazione che, in funzione della velocità alla quale avviene, potrà originare cristalli di dimensioni più piccole o più grandi.

I fattori della cristallizzazione

La cristallizzazione è controllata da diversi fattori, spesso imprevedibili.

I principali sono: il contenuto di glucosio, il contenuto di fruttosio, la quantità di polisaccaridi (zuccheri complessi), l’umidità, le particelle solide in sospensione (ad esempio i granuli di polline assolutamente invisibili ad occhio nudo), la temperatura e le sollecitazione meccaniche (in particolare l’agitazione) alle quali è sottoposto il miele.

Un contenuto di glucosio e, più precisamente, un rapporto glucosio/acqua (G/A) molto elevato determina cristallizzazioni rapide; viceversa in caso contrario.

Il contenuto in fruttosio e, in particolare, il rapporto fruttosio/glucosio (F/G) quando è elevato coincide con cristallizzazioni lente; viceversa nel caso contrario. A titolo di esempio possiamo citare il miele d’acacia che, dato il contenuto di circa 26% di glucosio contro il 36-37% di fruttosio, può restare allo stato perfettamente liquido per un anno o più.

Un eccessivo contenuto in polisaccaridi (zuccheri “pesanti”, molto meno solubili dei monosaccaridi glucosio e fruttosio), frequente nei mieli di melata, determina cristallizzazioni rapide e grossolane.

Mieli molto asciutti (con un’umidità pari o inferiore al 16%) difficilmente cristallizzeranno anche se il loro contenuto di glucosio e il rapporto glucosio/acqua sono elevati.

Le particelle solide in sospensione sono all’origine dell’innesco del processo di cristallizzazione e la loro presenza è indispensabile per indurre il fenomeno: eliminandole, un miele può restare indefinitamente liquido indipendentemente dalla sua origine e dal grado di sovrassaturazione in glucosio.

La temperatura ottimale perché il fenomeno della cristallizzazione si sviluppi rapidamente varia sensibilmente in funzione dell’umidità del miele, ma resta vicina ai 14°C. Oltre i 25°C e al di sotto dei 5°C il fenomeno è inibito.

Infine, le sollecitazioni meccaniche alle quali è sottoposto il miele (in modo particolare l’estrazione centrifuga del miele dalle cellette dei melari) accelerano il processo di cristallizzazione.

 

La tabella sottostante riporta una sintesi di quanto appena detto.

 

 

Glucosio/Acqua (G/A) ≥ 2

Cristallizzazione rapida

Cristalli fini

Glucosio/Acqua (G/A) ≤ 2

Cristallizzazione lenta

Cristalli grossi

Fruttosio/Glucosio (F/G) = 1,3-1,4

Cristallizzazione lenta

Cristalli grossi

Fruttosio/Glucosio (F/G) = 0,90-0,95

Cristallizzazione rapida

Cristalli fini

 

E’ doveroso quindi precisare che un miele che cristallizza segue la sua naturale e normale evoluzione, mantiene completamente inalterate le sue proprietà nutritive (che sono sempre ottime) e non ha niente da invidiare ad un miele allo stato liquido (con particolare riferimento a mieli di una stessa varietà – ad esempio due mieli di millefiori uno liquido e l’altro cristallizzato, due mieli di erba medica uno liquido e l’altro cristallizzato, ecc. -).

 

Ed ecco due fotografie dello stesso miele di millefiori...

Liquido...

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...e cristallizzato!

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11/02/2012

Lavori di febbraio

Febbraio è il mese che conduce alla primavera e, se la stagione fosse più clemente di quanto stiamo ravvisando in questi giorni, sarebbe anche possibile vedere parecchio movimento dinnanzi alle porticine dei vari alveari.

L’avvicinarsi della bella stagione, le prime fioriture e le prime tiepide giornate di fine inverno-inizio primavera favoriscono infatti la ripresa completa dell’attività delle famiglie che importeranno nettare e polline sfruttando i fiori che faranno capolino dai campi e da qualche albero o arbusto (in particolare il nocciolo).

L’importazione di polline (l’alimento proteico dell’alveare) è uno dei segnali dell’attività della regina poiché è sintomo di covata giovane.

Quest’ultima cosa è utilissima in quanto ci dà la possibilità di avere informazioni sulla vitalità e sulla presenza della regina anche senza aprire l’alveare per effettuare una visita “approfondita”.

Per questa ed altre ragioni è sempre buona norma, prima di procedere alla visita delle famiglie, dare un’occhiata dall’esterno, valutando la situazione anche dall’esterno dell’alveare.

Nel corso del mese è possibile somministrare alle nostre beneamate api il famigerato candito (o nutrimento zuccherino): ciò darà un ulteriore stimolo all’alveare e alla regina che, avendo una costante disponibilità di zuccheri, tenderà a proseguire e incentivare la propria ovideposizione.

Ispezionando l’alveare sarà possibile valutare la consistenza delle scorte e della covata presente: verso la fine del mese non sarà raro trovare anche due o tre telai con belle rosette di covata.

In definitiva, assicurare in questo periodo una buona uscita delle famiglie dall’inverno, sarà il presupposto per avere famiglie in forma nei mesi successivi (che saranno anche quelli produttivi).

 

Ed ecco un video girato l'anno scorso in una soleggiata giornata di fine gennaio. Si notino le api che rientrano con le sacche polliniche piene di polline (sì, insomma, con il polline attaccato alle zampe posteriori!!).

 

 

 

 

20/02/2012

Gli attrezzi del mestiere

Il mestiere dell’apicoltore, come ogni altro lavoro/hobby/ecc., prevede l’utilizzo di alcune attrezzature.

Gli attrezzi base dell’apicoltore sono: la tuta di protezione e i guanti (le punture non fanno piacere a nessuno, apicoltori compresi!); la leva “stacca favi”; l’affumicatore.

La tuta di protezione può essere di diverso tipo: integrale, camiciata (solo il pezzo “sopra” senza i pantaloni) oppure può consistere nella sola maschera per il viso.

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La scelta dell’una o dell’altra dipende molto dall’apicoltore e dalla comodità/confidenza.

Personalmente, a chi si affaccia a quest’avventura, consiglio una tuta integrale; anche perché, quando si visitano gli alveari e tranne che in rare occasioni nelle quali le api sono totalmente indaffarate nel pensare esclusivamente ai “fatti loro”, ci troveremo sempre a fare i conti con qualche ape che ci ronza attorno e, di certo, non è mai conveniente (anche in estate) recarsi in apiario in braghette corte.

Per questo motivo e utilizzando una tuta camiciata, dovremo comunque indossare un paio di pantaloni: ideali sono i jeans perché fatti di un materiale più “resistente” alle punture. Da evitare calzoni di lana e/o spugnosi che ricordano all’ape il mantello di animali predatori e che più facilmente rischiano di intrappolare i malcapitati insetti che diverranno più propensi a pungerci.

Essenziale per tutti è invece la maschera per il viso. Logicamente, la nostra visuale sarà un po’ più limitata, ma questa sarà solo una questione di abitudine… .

Completano gli indumenti protettivi i guanti.

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Meglio abituarsi ad utilizzare i guanti in lattice o vinile: pur essendo più soggetti a piccole punture (perché il lattice o il vinile è più facilmente perforabile della pelle di alcune tipologie di guanti), avremo la garanzia di una più facile pulizia e, dato il limitato costo, potremo cambiarli più volte nel corso della stagione (aumentando il tasso di igiene e pulizia), soprattutto nei casi in cui si ravvisassero sospetti casi di pestilenza (peste americana o peste europea) che non sono frequenti, ma neanche del tutto rari!.

 

Con guanti e tuta, un altro attrezzo indispensabile è rappresentato dalla leva stacca favi.

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Anche qua ci troviamo di fronte a diversi modelli: ogni apicoltore sceglierà con quale tipo si troverà più a suo agio.

La leva servirà per tutte le operazioni di sollevamento dei coprifavi, dei telai del nido e dei melari, per rompere le cellette di covata maschile, per rimuovere residui di cera o propoli che ostacolano le operazioni nel corso della visita ecc. .

 

Infine, l’ultimo oggetto essenziale è l’affumicatore.

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Diversi sono i modelli presenti in commercio (più grandi o più piccoli, con o senza rete di protezione, ecc.), ma la funzione è sempre la stessa: bruciare tipicamente pezzetti di juta per produrre fumo da indirizzare verso l’alveare con lo scopo di rendere più mansuete le api.

Seppur indispensabile, l’uso dell’affumicatore dovrebbe essere il più limitato possibile, sia per non disturbare troppo le api, sia per abituarle a “tollerare” le nostre visite nel modo più naturale possibile.

In giornate di intenso lavoro, soprattutto in primavera, le api saranno talmente distratte che quasi non si cureranno di noi apicoltori, agevolando così le nostre operazioni di controllo senza dover ricorrere all’uso dell’affumicatore.

Anche nel corso del prelievo dei melari o nel controllo degli stessi è bene non utilizzare l’affumicatore (o quantomeno utilizzarlo con moltissima moderazione): il miele, infatti, è una vera e propria spugna per odori e profumi e mangiare un miele affumicato non sarà sicuramente piacevole per nessuno (anche perché “l’affumicato” coprirebbe gli altri profumi del miele).

 

 

 

 

 

 

 

 

24/02/2012

Oggi, dato il clima mitissimo e quasi primaverile...grande ressa sul "davanzale".

Foto ricca di spunti: guardare per credere!

 

 

 

 

 

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07/03/2012

Lavori di marzo

Con l’arrivo della primavera la stagione apistica entra nel vivo e anche per l’apicoltore aumentano i “lavori da fare”.

Meteo permettendo, già nel mese di febbraio saranno state condotte le prime visite in apiario per sincerarsi delle condizioni delle famiglie e per provvedere all’integrazione delle scorte alimentari (aggiungendo telai di miele prelevati nel corso della precedente annata e conservati nel nostro magazzino).

Nel corso del mese di marzo, la frequenza delle visite, complice una crescente “percentuale” di belle giornate, aumenterà e occorrerà assicurare ai vari alveari le migliori condizioni di sviluppo al fine di prepararli per il primo e importantissimo raccolto dell’annata: quello del miele di acacia (per precisione è giusto ricordare che già in aprile è possibile ottenere un piccolo raccolto di miele, tipicamente di tarassaco o di millefiori).

In genere, le operazioni da effettuare nel corso di questo mese sono riconducibili a:

- valutazione dell’importazione di polline e nettare;

- valutazione dell’entità della covata (stabilire il numero di telai di covata rispetto ai telai occupati dalle api);

- valutazione dell’efficienza della regina (vitalità, capacità di ovideposizione, uniformità della covata -più è uniforme e più si dice che la regina sia “in forma”-);

- valutazione sanitaria delle colonie (presenza di covata a sacco, nosema, sintomi di peste…);

- sostituzione nel nido dei telai vecchi e introduzione di nuovi telai con solo foglio cereo (sempre tra l’ultimo e il penultimo telaio di covata);

- nutrizione stimolante con candito per api al fine di incentivare l’ovideposizione della regina;

- posizionamento della porticina d’ingresso nella posizione primaverile;

- pulizia dei cassettini dai vari residui;

- pareggiamento delle famiglie (cioè, ad esempio, avere alveari tutti su 3-4 telai di covata);

- verso la fine del mese e soprattutto a partire dal mese di aprile sarà possibile iniziare la formazione di nuclei, sfoltendo le famiglie più numerose;

- controllo della sciamatura: in questo periodo e ancor più dal mese di aprile, le famiglie inizieranno a formare celle reali che sono il chiaro sintomo di un inizio di sciamatura. Nonostante il fenomeno sia del tutto naturale, per l’apicoltore il fatto che una famiglia sciami è un danno in quanto, sia lo sciame che, soprattutto, la famiglia che ha subito la sciamatura, difficilmente andranno a produzione e, proprio perché solitamente la sciamatura si verifica in concomitanza con la fioritura dell’acacia, questo si traduce con un mancato raccolto della prima importante fioritura della stagione.

 

 

 

 

 

07/03/2012

L'arnia e le sue componenti

Ormai ci siamo: la bella stagione è alle porte e quindi è tempo di parlare della "casa delle api".

Dopo aver visto gli attrezzi dell'apicoltore, ora cerchiamo di vedere dove alloggiano le api...

Posto solamente foto debitamente corredate di nomi...

Per chiarimenti...beh, basta postare una domanda su questo blog!!!.

 

Arnia

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Arnia + Melario (nel melario le api ci mettono il miele che l'apicoltore andrà a raccogliere)

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Particolare della "porticina" d'ingresso

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Arnia e coprifavo

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Interno arnia (vuoto)

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Arnia e telai (da nido)

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Telaio con solo foglio cereo (su questo "stampo di cera" le api costruiscono le varie cellette)

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Telaio costruito

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28/03/2012

L'importanza dell'acqua

Altre curiosità dal mondo apistico.

 

Le api raccolgono sì nettare e polline, ma anche un'altra risorsa indispensabile per tutti gli esseri viventi: l'acqua.

In genere, si dice che un alveare raccolga acqua entro un raggio di 100-200m ed è per questo che è utile sincerarsi che, nei paraggi di un apiario, ci sia una fonte idrica a disposizione delle nostre beneamate "apette".

Generalmente, l'acqua raccolta è ricca in sali minerali utili al metabolismo dell'insetto ed ha una temperatura superiore a quella ambientale (per capirci, le api preferiscono l'acqua fuori frigo!!).

Gli stessi minerali presenti nell'acqua li ritroveremo poi anche nella composizione del miele.

È impressionante il dato sul consumo medio giornaliero di acqua per ogni alveare: circa 2,5L.

In pratica, esserini della dimensione poco più grande di una nostra falange, nel loro insieme, consumano acqua quanto un uomo adulto di circa 70-80Kg.

Questa è una foto che ben ritrae il momento della raccolta: si noti la ligula (la lingua) delle api, utilizzata come proboscide di raccolta di nettare e acqua!.

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04/04/2012

Lavori di aprile

Nel corso del mese di aprile la stagione apistica entra a pieno regime e richiede molto impegno da parte dell’apicoltore: scopriamone il perché!.

Le sempre più numerose belle giornate, assieme alle temperature più miti ed alle molteplici fioriture del periodo (tarassaco, ciliegio, pruno, albicocco, biancospino, ecc.), rappresentano una fortissima spinta alla laboriosità delle api.

L’abbondanza di nutrienti e le condizioni climatiche favorevoli consentono un rapido aumento della dimensione delle colonie.

Se tutto procederà per il verso giusto, dai 3-4 telaini di covata della fine del mese di marzo si arriverà rapidamente ai 7-8 alla fine di aprile; perfettamente in tempo per il primo grande raccolto della stagione: l’acacia.

Fin qui sembra tutto bello e semplice. La realtà è però ben diversa.

La ricca offerta di risorse messe a disposizione dalla natura fa scattare nelle colonie più numerose l’istinto della moltiplicazione che, nel caso delle api, si traduce con la sciamatura.

È intuitivo e normale che questo fenomeno avvenga nel 90% dei casi in primavera: per garantire ad uno sciame (oltre che alla famiglia di partenza…) il tempo per “riorganizzarsi”, occorre infatti disponibilità di nutrienti (nettare, polline ed acqua in quantità).

Per l’apicoltore, la sciamatura è un “problema” poiché, verificandosi spesso in concomitanza con la fioritura dell’acacia, il rischio di perdere un importante raccolto dell’anno (forse il più importante…) è elevatissimo.

Per questa ragione, ciascun apicoltore dovrebbe mettere in atto tutta una serie di azioni per ridurre (più che evitare) il fenomeno.

La “formula Ruini”, dal nome del suo ideatore, recita che, per “evitare” la sciamatura, occorre pareggiare le famiglie su 4 telai di covata 1 mese prima della fioritura dell’acacia; dopodiché sarà opportuno far crescere l’alveare di 1 solo telaio per settimana.

Per far ciò, molto spesso, si renderà inevitabile l’asportazione di favi di covata e, se non saranno necessari rafforzamenti di altre colonie, la costituzione di nuclei.

I nuclei sono delle piccole famigliole di api che, nel corso dell’anno, cresceranno fino a divenire nuove famiglie “complete”. Generalmente, i nuclei primaverili, vengono creati “piccoli”, cioè con 1-2 telai di covata, 1 di scorte ed 1 foglio cereo.

Un’altra operazione da svolgere per il controllo della sciamatura è la periodica eliminazione delle eventuali celle reali (le cellette dove vengono allevate le nuove regine) e la corrispettiva riduzione della covata maschile: un’abbondante presenza di fuchi (i maschi) è un ulteriore fattore che incentiva la sciamatura.

Inoltre, una nutrita presenza di celle di covata maschile, incrementa la moltiplicazione del numero di varroe infestanti un alveare: da una celletta da fuco possono infatti fuoriuscire 4-5 esemplari di varroa, mentre da quelle da operaia solamente 1-2.

Alla sciamatura contribuisce anche una specie di “sensazione claustrofobica” delle api!.

In pratica, il sovraffollamento di una colonia incentiva il ritorno ad una situazione di “maggiore vivibilità” e, lo strumento più efficace per ottenere questo è quello di far “cambiare casa” a qualche individuo (qualche = migliaia di api).

Per aumentare lo spazio a disposizione delle api è buona norma posizionare il melario non appena si verifica il cosiddetto “imbiancamento della cera”, cioè quando l’apicoltore nota la presenza di nuova cera sui favi del nido.

La cera appena prodotta si riconosce da quella “vecchia” poiché si presenta di colore biancastro rispetto all’usuale giallo opaco: da qui il termine “imbiancamento”.

Anche la rimozione di telai di covata e la sostituzione con fogli cerei da costruire è un ottimo mezzo per limitare la sciamatura e “tenere impegnate le api”: per un individuo attivo non c’è peggior punizione che restare noiosamente senza qualcosa da fare!.

I fogli cerei introdotti ex novo saranno rapidamente costruiti e diventeranno pronti ad ospitare nuove uova, nuovo miele e nuovo polline. Così facendo, si potrà procedere alla progressiva sostituzione dei favi di una colonia, rimuovendo quelli più vecchi ed usurati.

 

Se la stagione sarà favorevole al raccolto e la colonia sarà sufficientemente già popolata da api bottinatrici, il melario posizionato per “dar spazio” alla famiglia sarà rapidamente occupato e riempito di miele. Miele, ovviamente, non di acacia, ma di millefiori oppure di un’essenza monoflorale (tarassaco, ciliegio…).

Pochi giorni prima della fioritura dell’acacia occorrerà rimuovere questo melario e posizionarne uno vuoto.

 

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(posa dei melari)

 

Il controllo della sciamatura, la formazione di nuclei e la posa dei melari, non sono le uniche operazioni che l’apicoltore deve/può svolgere in aprile.

Infatti, qualora si ravvisasse un lento sviluppo delle famiglie, sarà possibile intervenire somministrando nutrimento artificiale sotto forma di candito o di sciroppo acqua/zucchero (circa 200mL al giorno da somministrare al calar del sole).

 

 

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5 Comments


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Ciao Maverick! L'apicoltura è fantastica sto leggendo alcuni libri e mi sto organizzando per partire con un alveare quest'anno... mi piacerebbe avere qualche dritta da un'esperto come te!

 

Follow it :)

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Ciao Maverick! L'apicoltura è fantastica sto leggendo alcuni libri e mi sto organizzando per partire con un alveare quest'anno... mi piacerebbe avere qualche dritta da un'esperto come te!Follow it :)

DEVI ASSOLUTAMENTE ENTRARE NEL TUNNEL "APISTICO"!!...

Esperto è una parolona, diciamo che ne so qb (quanto basta!)...

Piuttosto, il primo weekend di marzo c'è Apimell a Piacenza: è la più grande fiera italiana sull'apicoltura. Io conto di andar a fare un salto il sabato mattina...se vuoi possiamo organizzarci: è un occasione per vedere le attrezzature e capire cosa comprare e cosa "fare a meno di"

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Lonewolf

Posted

Interessantissimo!

Un mondo da scoprire ...

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molto interessante, qest'anno non voglio perdermi Apimell

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