Grandi alpinisti
La letteratura di montagna e' piena zeppa di racconti di avventure epiche, comportamenti eroici e grandi imprese ...
A volte pero' la realta' e' molto meno nobile e, in certi casi, sfiora la farsa .
Questo e' il racconto (senza foto) di una mia "avventura" tragicomica che risale all'ormai remoto 23 novembre 1980 (ricordo bene la data perche' quel giorno si e' verificato il terremoto in Irpinia).
E' una di quelle storie che si raccontano con piacere ogni volta che ci si ritrova con i vecchi amici, magari arricchendola ogni volta di nuovi dettagli .
Domenica mattino; nonostante l'autunno inoltrato, e' una giornata splendida, l'ideale per una escursione in montagna.
Contatto al telefono tre amici della Val d'Illasi (con qualche difficolta', per quanto possa sembrare strano ai piu' giovani, ancora non esistevano i cellulari e pochi avevano il telefono in casa) ...
"Che facciamo? Un bel giro sul Carega? (la montagna "di casa") Ok, passo tra poco ..."
Alle 9 siamo tutti e quattro al rifugio Revolto: A****a, F******o, G***o ed io.
Ho portato il materiale da arrampicata; scarpette, imbragatura, una corda, martello e qualche chiodo ... magari ci inventiamo qualcosa ...
Anche gli altri hanno scarpette/scarponi e imbragatura.
L'occhio si posa sulla Sengia de Mezzodi', una parete di roccia (apparentemente) solida alta 100 m e larga circa il doppio, che si erge dall'altra parte della valle, alla base del M. Plische, proprio di fronte al rifugio ...
Perche' no?
E' ben noto che la roccia nel versante veronese del Carega e' davvero pessima ("marcia", come si dice), ma quella parete vista da lontano sembra abbastanza solida ()
Per la serie "Le ultime parole famose", G. dice "Va bene, proviamoci, ma in fretta che' alle 2 ho un appuntamento" (morosa?).
In breve siamo alla base della parete.
Abbiamo una sola corda, un piccolo problema; il primo che sale dovra' recuperare il secondo, poi lanciare il capo della corda al terzo, farlo salire e ripetere l'operazione con il quarto ... laborioso, ma vabbe' ...
Lasciamo gli zaini (li prendiamo al ritorno) e partiamo.
Il primo "tiro", circa 30 metri fino ad un buon punto di sosta, si presenta abbastanza semplice e solido.
A. sale tranquillo, attrezzando con chiodi nei punti piu' difficili.
In un'oretta siamo tutti alla prima sosta (e sono circa le 11).
Il secondo tiro, altri 30 metri, e' decisamente piu' complicato e la roccia non e' piu' tanto buona.
F. e' impegnato per una mezz'ora ed e' ormai mezzogiorno quando siamo tutti insieme alla seconda sosta, un misero gradino che a malapena puo' contenerci tutti, stretti come sardine.
G. prova a partire per il tratto successivo, ma dopo solo 3-4 metri c'e' un punto molto difficile e, dopo alcuni brutti momenti, decide di rinunciare.
Tutti mi guardano, sono l'unico che ancora non ha "tirato" (cioe' che non e' salito da "primo di cordata") e chiaramente tocca a me
Supero il primo passaggio difficile, ma piu' su e' ancora peggio ... pian piano salgo, metto qualche chiodo malsicuro mentre la qualita' della roccia diventa sempre peggiore ...
Dopo una ventina di metri sono praticamente in trappola; la roccia e' completamente marcia, al punto che non c'e' proprio da far affidamento sui miseri chiodi che riesco a piantare per scendere ... devo salire per forza.
Procedo, metro dopo metro, con una lentezza esasperante ...
Scarico una valanga di sassi verso il basso; all'inizio non e' un problema perche' sono spostato a sinistra rispetto alla sosta, ma poi rientro un po' a destra e i malcapitati compagni sono proprio sotto tiro; ogni due minuti devono appiattirsi contro la roccia, sotto una minima sporgenza cercando di non farsi colpire da qualche pietra.
Alle 2 G. inizia a lamentarsi (la morosa ...), ma la faccenda e' davvero complicata.
All'epoca ancora si discuteva se il 6° grado fosse il limite delle possibilita' umane o se esistesse un 7° (ora le maggiori difficolta' sono quotate con numeri a due cifre!); quel giorno non avevo dubbi sul fatto che il 7° esistesse ... c'ero proprio in mezzo!!
Ricordo ancora benissimo gli ultimi metri prima dell'uscita.
Un piccolo tetto da attraversare verso destra sfruttando la fessurina sul fondo, stretta e bagnata (mi vengono ancora i brividi pensando che solo un paio d'anni dopo quel tetto, un blocco di 4-5 metri cubi, e' caduto), poi un muro di 4 metri da salire in verticale; roccia (?) hummm ... praticamente ghiaia.
Solo quattro metri piu' su solidi rami di pino mugo sporgenti sul bordo della parete, poi il bosco ...
a tre metri d'altezza, poco fuori dalla mia portata, un esile rametto di salice, spuntato li chissa' come ?!
Una lunghissima serie di tentativi e rinunce; impossibile!
A questo punto i miei ricordi sono un po' confusi; non so bene come, ma con un "lancio" arrivo al rametto, confidando nella forza delle sue radici (o la va o ...) e poi un altro "lancio" fino a prendere un solido ramo di mugo e ... uffff fuori, finalmente!
Nel frattempo sono passate molte ore, sono le 4 del pomeriggio.
Un'altra ora se ne va mentre A. sale sbuffando e ripetendo continuamente "Ma come c***o hai fatto? Porc* put****!"
Quando anche lui, stravolto, e' nel bosco, sono le 5 ed e' ormai buio (ricordate che e' il 23 novembre).
F. ama sempre ricordare che e' rimasto sul terrazzino della seconda sosta da mezzogiorno fino a sera e che nel frattempo ha visto sulla strada Revolto-Passo Pertica, dall'altro lato della valle, le stesse persone salire e anche ... ritornare!
Dopo una battuta emblematica del nostro stato d'animo ("Beh, il 50% del gruppo e' in salvo") ci rendiamo conto con orrore che abbiamo un piccolo problema .
I nostri amici sono 40 metri piu' giu', leggermente spostati in diagonale, e al buio non e' proprio facile lanciargli la corda.
Per di piu' i rami di pini mughi sul bordo della parete sono un ostacolo quasi insormontabile; infatti nei primi due tentativi la corda si impiglia sui rami e dobbiamo tirare con tutte le nostre forze per liberarla.
In successivi tentativi riusciamo a schivare i mughi, ma la corda arriva sempre troppo lontano dal terrazzino.
Ok, non c'e' altro modo che scendere lungo la corda (fortunatamente abbiamo un discensore), pendolare fino al terrazzino e poi da lì risalire uno alla volta lungo la corda (con nodi autobloccanti).
Tiriamo a sorte e naturalmente perdo (che giornata di m**** ); scendo, mentre la corda smuove sassi che mi fischiano attorno nel buio ...
Tra discesa (mia) e risalita (di tutti, ultimo F.) passano ancora altre lunghe ore; solo alle 8 di sera siamo tutti nel bosco sopra la parete.
Bene!
Uno chiede "Da che parte si scende?"
Ops ... nessuno ha guardato ...
Prendiamo "a naso" verso destra in mezzo ai mughi (e chi ha provato sa cosa vuol dire), costeggiamo la parete fino a trovare un canalone e iniziamo a scendere.
Quando termina con un salto roccioso, risaliamo e proviamo il successivo ...
Il terzo e' quello buono e, pur con qualche difficolta' (sempre al buio), arriva fino alla base della parete.
Poi, sempre in mezzo ai mughi, dobbiamo tornare indietro sotto la parete per recuperare gli zaini.
Alle 10 di sera (notte) abbiamo di nuovo i nostri zaini e ormai solo un facile ghiaione ci separa dal sentiero che riporta a Revolto.
G. ha smesso da un pezzo di lamentarsi per l'appuntamento mancato
Ora viene la parte piu' bella .
Dovete sapere che, per vari motivi, A. e F. non avevano mai fatto sapere in famiglia che andavano ad arrampicare; al massimo semplici escursioni, ma niente a che vedere con quei "mati che rampéga su par le roce"
(erano decisamente altri tempi).
Alle 10 di sera pero' sul Carega non c'e' in giro proprio piu' nessuno e i genitori dei miei amici erano chiaramente preoccupati per il mancato rientro, al punto da decidere di venire a cercarci ...
(mia mamma non si era invece preoccupata, per fortuna, pensando che mi fossi fermato in compagnia a casa loro).
Proprio mentre raccogliamo gli zaini, i fari di un paio d'auto risalgono i tornanti della strada tra Giazza e Revolto;
e quando, sceso il ghiaione e preso il sentiero, siamo ormai a poche centinaia di metri dal rifugio, le auto arrivano al parcheggio di Revolto e i genitori in ansia iniziano a chiamarci: "A****aaaaa! F******ooooo! G***ooooo!"
Che fare? Rispondiamo "Siamo quiiiiiii".
Il dialogo che segue e' surreale (immaginatelo nel buio, nel silenzio dei boschi e dei monti, urlato (in dialetto) tra due gruppi di persone a qualche centinaio di metri di distanza) ...
"Qui doveeeee?" (chi 'ndoe' ?)
"Nel boscooooo"
"Ma cosa fate liiiiiii?" (ma sa fasìo lì?)
"Arriviamooooooo" ('rivemo)
"Si, ma perche' siete ancora liiiiii?" (si, ma parchè sio 'ncora lì?)
Ehm, con la prossima risposta ci siamo sputtanati agli occhi di quei genitori per tutto il resto della nostra vita ...
ma era l'unica risposta plausibile per non dover dare troppe spiegazioni
"Ci siamo ... PEEERSIIIIII" (semo persi)
Vi lascio immaginare le sarcastiche battute quando finalmente arriviamo al parcheggio del rifugio (ci hanno accompagnato per anni!).
Dulcis in fundo ...
I genitori di F. gestiscono un negozio; il mattino dopo, mentre F. bazzica lì intorno, un cliente dice (in dialetto) "Ieri sono stato sul Carega, bella giornata; c'erano 4 matti sulla roccia davanti a Revolto che arrampicavano"
E il papa' di F. "Proprio matti! Mio figlio non farebbe mai cose del genere! Pensa che anche lui ieri e' stato sul Carega, ma e' riuscito a perdersi sul sentiero!"
Grandi alpinisti
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